Lettere
Qui troverai lettere di emigranti italiani dal 1820 fino al 1920, da Argentina, Brasile, USA ai loro parenti in Italia. Da archivi pubblici e privati o pubblicazioni.
1924, Italia, Raimondo Parutto
Fonte: Fondazione Archivio Diaristico Nazionale – racconto dattiloscritto “La mia Vita emigrando in terra straniera”
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“Sono Raimondo Parutto, ho passato la giovinezza a lavorare nei boschi, poi nel 1924 emigrai in Francia, per lavorare nelle gallerie del Giura. Tornai al paese dopo tre anni, per partire per l’America, per trovare un po’ più di fortuna.
Partindo del paese natio per recarsi così lontano chiunque li dispiace lasciando Babbo e Mamma dopo avere vissuto acanto a loto fin da bimbo ma è tutto inutile. Non per amore che per la forsa ci toca abbandonarli, l’amor proprio li constinge, la naturalesa obliga.
Il 2 luglio mi levanti presto perché era il giorno destinato alla mia partensa, i parenti mi accompagnano fino alla passa dove sta la coriera che mi sta aspettando insieme con li altri tre compagni. (…) Sento un grido del sofér che dice andiamo ragazi in vetura che ce lora di partire, ha che triste fu per me quel momento per me e per i miei compagni. Sentì nel profondo del mio cuore un aspro e triste dolore che per un po’ di tempo a fino che la corriera uscì fuori del paese, restai completamente muto sensa neppure pronunciare una parola, ma quando mi ebi allontanato del paese un poco mi voltai indietro e li diedi l’ultima occhiata e con questo mi dispidi dicendo “Adio Claut chisà quando ti rivedrò”.
Giunti a Longarone andiamo alla genia a prendere i nostri documenti poi accompagnati alla stazione. Arriva il treno e partiamo alla destinazione verso Venezia. Arriviamo a Venezia per firmare il passaporto e alla fine si doveva partire per destinazione Genova. Facciamo un po’ di spesa che doveva servire durante il viaggio verso Genova un po’ di pane e un po’ di salame alla usansa nostra e di più algun fiasco di vino, alla fine gira di una parte e gira dell’altra già stava avvicinandosi l’ora della nostra partensa verso Genova. Arriviamo a Genova circa alle ore dieci della matina, e non appena disesi dal treno già stavano preparati li agenti di emigrazione e sull’istante ci portarono così chiamato l’Hotel deli Emigranti per non essere forse truffati di qualche mal vivente perché di quelli non ne mancano di nessuna parte. Giunti a l’Hotel delli emigranti depositiamo i nostri bagali e poi saliamo tutti quattro uniti a fare una visita a passeggiare un po’ per la cità di Genova, alla fine visitiamo una parte dove si trovava il Vapore Giulio Cesare che si trovava lì come una grande montagna già preparato ad aspetarmi per trasportarmi del altra sponda traversando il grande Mare Oceano Atlantico.
Alla matina del giorno 29 si rechiamo a porto per pagare il billietto di imbarco. Dopo avere terminato tutto erano già verso le ore 11 e così di nuovo ritorniamo alla casa de Emigrante a mangiare un po’. La sera pesiamo la visita del bagaglio, il talio dei capelli, il bagno e la visita medica poi la vacinasione finalmente dopo tanto e anche stanco di andare in giro su e giù per la cità terminiamo finalmente di fare tutti i nostri cartamenti.
Il giorno 30 li emigranti cominciavano a avvicinarsi al porto per prendere il posto sopra il Vapore e così pure facciamo noi, dopo aver fato una piccola spesa: da fumare e qualche dozzina di limoni che si sentiva dire che facevano abbastanza bene per il mal di mare e dopo avere scritto diverse cartoline alla famiglia, ci avviciniamo al porto per salire sopra il vapore. Entriamo dentro il porto passiamo di nuovo un’altra visita medica, e ci fecero entrare. Ci incontriamo come dentro un grande Hotel ed ecco subito pronto un cameriere a darci il numero della branda, scendiamo giù per una scala e entriamo dentro un camarote e troviamo il numero del letto.
(…) si sentì tre grandi urli che era l’aviso della partensa e così comincio pianpiano a galleggiare ed a allontanarsi del porto, un grande rumore veniva di tutta quella gente che stava dentro il porto salutando e così pure un contraccambio di noi altri verso di loro e anche la musica suonando la marcia reale e la marcia Garibaldi ed altri inni patriottici dove era la musica una compagnia de Balilla rendendo il saluto d’onore ai suoi compatrioti che li tocava abbandonare la sua madre patria per recarsi tanto lontano, pero sempro con el amor patrio di migliorare le sue condisioni e un giorno di ritornare a risposare la sua osamenta di terra natia.